Da Milano a Reggio Calabria, sola andata! Come effetto secondario del Covid-19. La sede di lavoro resta al nord ma col lavoro oggi da remoto domani smart working, si può, più o meno tranquillamente, tornare nei paesi d’origine, spesso al sud, dove tanto per iniziare il costo della vita è decisamente minore rispetto alle grandi città del nord. Magari puntando ad una defiscalizzazione per chi sceglie questa via oppure ad un incentivo ‘ad personam’ contrattato.
Una proposta di regolamentazione del lavoro agile, che rivoluzioni l’idea del ‘lavoro da remoto’ e dia il via allo smart working, inteso come effettiva possibilità di scegliere di vivere dove si desidera, lavorando da casa e con il supporto di una contrattualizzazione definita.
La legge infatti tutela il lavoratore anche per quanto riguarda casi di infortunio sul lavoro, piuttosto che il diritto al riposo e alla disconnessione e come obiettivo il mantenimento ed il miglioramento del clima aziendale in cui si opera, finalizzato alla valorizzazione dignitosa dell’essere umano. Tutto questo anche in smart working può essere coniugato con la maggiore e più partecipata produttività. Questi solo alcuni esempi di smart working contrattualizzato che così inteso potrebbe essere una chiave di volta anche per il ripopolamento delle nostre zone basato anche su una scelta di vita eco-socio familiare, dunque con ricadute positive su ambiente, economia e socialità.
Occorre il coraggio di pensare ed importare il modello della Silicon Valley californiana, fucina di innovazione e di grandi marchi mondiali dell’impresa digitale, proprio per la prossimità fisica che caratterizza aziende e lavoratori, e che al contempo, vanta milioni di lavoratori sparsi per il pianeta. Tutto questo senza mai sottovalutare l’aspetto sociale dell’attività lavorativa: per noi, baluardo di crescita personale e professionale. Il lavoro a distanza deve essere concepito senza sacrificare la relazionalità aziendale, verticale con azienda ed orizzontale, con i colleghi. Il rischio isolamento sarebbe una controindicazione dello smart working inaccettabile, e avrebbe inevitabilmente dei contraccolpi in termini di prospettive di carriera e livelli produttivi. Occorre coraggio e un intervento organico di Stato e regioni affinché i lavoratori fuori sede possano avere la possibilità di lavorare, ‘agilmente’ in smart working.
C’è già chi lo definisce smart working estremo: il ‘south working’. Sul piano tecnologico quella del lavoro a distanza è una soluzione praticabile senza particolari problemi, spezzando di fatto alcune delle resistenze che le gerarchie aziendali mostrano sempre di fronte alle novità.
Ovvio è, che finora, produzione e consumo hanno avuto nel nostro Paese una sede unica, ma oggi globalizzazione e Covid impongono cambiamenti e scelte politiche di sistema: superare la questione meridionale attraverso una vera e propria ‘PAX POLITICA, per lo sviluppo armonico dell’intero Paese. È una realtà, questa del futuro ‘south working’, che sta prendendo forma e produce un nuovo fenomeno migratorio alla rovescia, dunque va analizzato, a tratti agevolato, reso organico e regolato. Contemporaneamente in rete va creata una realtà di servizi alle famiglie: penso agli asili nido, ai centri diurni per diversamente abili, alle strutture socio-sanitarie e ludiche per anziani; penso ad una mobilità sostenibile; ma penso anche che affinché lo smart working possa essere libero e produttivo anche da sud, oggi si deve lavorare ad una proposta innovativa che possa caratterizzarsi come uno strumento importante per accorciare il gap di sviluppo tra nord e sud. La sfida è nella riorganizzazione del lavoro pensando ad un a nuova comunità. La presenza di ‘nuovi’ cittadini, professionisti e non, potrebbe caratterizzarsi come motore di sviluppo anche delle aree interne.
Per la metrocity pensiamo ad una proposta d’impatto trasversale che, sfruttando la ‘fiscalità di vantaggio’ per il Sud, varata in questi giorni dal Governo, potrà essere attraverso la contrattazione decentrata, territoriale e di secondo livello, un pezzo importante per costruire un piano per il lavoro legato ad investimenti produttivi. Ma per arrivare a questo si deve necessariamente lavorare a costruire un progetto che abbia visione di sviluppo armonico, partendo dalla istituzione di una governance dei fondi (dal Recovery fund, al Mes ai fondi europei diretti e non, al Pon Metro, ai Patti per il Sud, alle risorse ordinarie che lo Stato nelle sue espressioni ai vari livelli deve investire nel sistema sviluppo. Dunque è necessario se non indispensabile, attivare una poderosa capacità di investimento in attività produttive, in grado di generare buona occupazione. Questa potrebbe essere una strategia percorribile per accorciare, attraverso il ‘south working’ e attraverso l’efficientamento della spesa pubblica, il gap tra nord e resto d’Italia.
Occorre, già da subito, occuparsi di un’idea diffusa di smart working per rigenerare economicamente e produttivamente il Sud del Paese e soprattutto i luoghi periferici di un Paese frammentato a due velocità ufficiali ma con tante ‘sotto-velocità’, soprattutto nell’estremo sud. In questi anni di crisi inanellate una dentro l’altra, il sud ha subito una metamorfosi economica non omogena, che ha reso sempre più centrale lo sforzo sindacale nella contrattazione territoriale di secondo livello. Un impegno costante e mai affievolito che sarà profuso anche in questa nuova sfida del ‘south working’! Il percorso è arduo ma siamo pronti a dare il nostro contributo di proposte.