La fase Covid-19, sembra non avere fine, e l’istituzione della zona rossa in Calabria e quindi nella nostra metrocity, attesta l’ennesimo fallimento di una classe dirigente e manageriale a più livelli. Se analizziamo contestualmente l’approvazione in Consiglio dei Ministri del ‘Decreto Calabria 2’ per quanto concerne la nostra Sanità, possiamo certamente parlare di un duro colpo inferto ai nostri territori.  Il Governo continua a commissariare sé stesso ma senza chieder conto dei danni prodotti dai vari Commissari alla Sanità. Chi pagherà i mancati risultati di Commissari nominati da Roma per gestire i piani di rientro della Sanità calabrese e dunque per quanto ci riguarda più da vicino le conseguenti ripercussioni metropolitane?  Perché il Ministro della Salute non ha mai chiesto ed ottenuto in CDM provvedimenti per il mancato raggiungimento degli obiettivi dei cosiddetti ‘super manager’? Questi ultimi sono al di sopra di tutto? Compresa la nostra salute?

Si abbia il coraggio di levare alta la protesta ed impugnare, se ci sono le condizioni, il decreto Calabria bis, poi  spetterà a chi rappresenta istituzionalmente  i cittadini nei nostri territori l’  assumersi la responsabilità delle scelte consegnando  la Sanità nelle mani  competenti di esperti rappresentanti del settore che abbiano solo un obiettivo: la salute dei cittadini nel solco dell’etica e della legalità dunque che abbiano a cuore il Bene Comune.

Giochi di potere, scontri tra partiti e tentativi di influenzare politicamente le strategie sanitarie, ci hanno relegati in fondo alla classifica in termini di Lea, di strutture ospedaliere e soprattutto di credibilità. La zona rossa è solo la conseguenza di tutto questo. Emotivamente non possiamo lasciarci trascinare nell’imperdonabile errore di confondere la causa con gli effetti del problema atavico della mala gestio della sanità.

 

Basti pensare che una buona parte delle Unità Operative che afferiscono alla rete dell’Emergenza Urgenza sono da anni prive dei direttori responsabili. Per non parlare delle strutture d Locri, Polistena, Gioia Tauro, Melito P.S., Scilla, Palmi e comunque di tutti gli Ospedali Spoke e Case della Salute strutturalmente disastrati ed in attesa di futuro o della nascita a lunghissima scadenza dell’ ospedale della Piana .

Come le centrali Operative 118; prive di responsabile da tempo, come la carenza atavica di personale del sistema sanitario.

Insomma, una rete dell’Emergenza spesso inefficiente nelle sue articolazioni fondamentali. Esempi questi che danno contezza di un’inconsistenza manageriale che ha prodotto solo blocchi; dalla mancata attivazione di posti di terapia intensiva con i fondi statali per l’emergenza – ben 86 milioni di euro – per incrementare le 107 postazioni, alla mancata attivazione di un piano strutturato di assunzione del personale. Non penso che il problema unico sia da ricondurre alla chiusura prevista dall’ultimo Dpcm che è solo la punta dell’iceberg e che a questo punto penso rappresenti l’unica speranza per salvaguardare la salute di oggi e di domani di noi cittadini. Ma la vera indignazione sociale che ieri è sfociata nella imponente manifestazione a Reggio Calabria, dovrebbe essere rivolta oltre che alle difficoltà economiche e sociali devastanti  che comporta il lockdown, e che noi comprendiamo e facciamo nostre come Cisl metropolitana, anche a decenni di appiattimento di dirigenti, manager, commissari, generali e politici, non in grado di capire che la salute è un diritto essenziale del vivere civile. Avevamo confidato nel lavoro dei commissari straordinari Asp di Reggio Calabria ma anche loro, ad oggi, pare non abbiano dato una svolta, perlomeno, se credono di averla data di certo non appare percepita né dai lavoratori, né dalle comunità.

Per non parlare della gestione Covid e degli interventi ad essa collegati. Oggi si alzano voci indignate  che denunciano che il piano Covid Calabria  e dunque metropolitano doveva essere attuato, per disposizioni governative, dalle strutture commissariali, grida tardive ma ben vengano se hanno come fine la volontà di metterci la faccia per il riscatto della sanità nel nostro territorio .come ben vengano anche le posizioni della classe politica oltre che istituzionale metropolitana, tutti attori sociali che avremmo voluti schierati anche prima, quando noi come organizzazioni sindacali unitariamente e non, abbiamo protestato, denunciato, rivendicato e proposto. Non credo dunque faremmo peccato a pensare che la zona rossa nella nostra metrocity, che tanto ci impensierisce per la salute e per l’economia, binomio indissolubile, sia anche frutto di tutte queste falle, anche di mancata rete di intendimenti.  Questo però non è il momento di soffiare sul fuoco, è il momento di stare uniti e di combattere per i diritti dei Cittadini Metropolitani, tutti assieme. Non è tempo di discutere solamente della necessità o meno di una zona rossa, occorre celermente intervenire – e noi come Cisl faremo la nostra parte – per programmare interventi mirati, per lenire le conseguenze economiche ed occupazionali che un provvedimento come il lockdown produce. Un primo passo della politica metropolitana in questa direzione sarebbe una richiesta autorevole di definizione di zona gialla, che alleggerirebbe le restrizioni, in questo caso mortali per l’economia del nostro territorio. Accompagnata però da una azione di messa in opera di misure che possano far lavorare

A.O. ed Asp, viste le professionalità di cui godono, e di quelle di cui potrebbero fruire attuando un immediato piano assunzionale, immediatamente alla stregua di sistemi sanitari all’avanguardia considerata l’emergenza Covid.

La salute è un bene primario ed è l ‘impalcatura per ogni tipo di azione positiva, sociale od economica, la pandemia ce lo ha bene insegnato. Occorre fare presto e con risolutezza.

Si uniscano dunque le voci, le forze delle rappresentanze istituzionali, associative, sociali ai vari livelli, per remare tutti nella stessa direzione. C’è in gioco il futuro di tante famiglie, imprese, lavoratori, precari, disoccupati, giovani, donne, pensionati che non possono permettersi un lockdown senza misure a sostegno, forti, rapide e di lunga portata ma che contemporaneamente facciano da ponte verso la strutturazione reale di un sistema sanitario degno di tale nome anche alle nostre latitudini.